22.8.14

Il "miracolo" di Atlanta

Kent Brantly e Nancy Writebol ce l’hanno fatta. Sono stati entrambi dimessi dall’ospedale di Atlanta in cui erano ricoverati dagli inizi di agosto, dopo essere stati colpiti dal virus Ebola e trasportati in fin di vita dalla Liberia agli Stati Uniti. Repubblica.it riporta la nota del portavoce di Samaritan’s Purse, la ONG cristiana per la quale i due operatori sanitari erano in servizio al momento del contagio:

Oggi mi unisco agli operatori di Samaritan's Purse in tutto il mondo per ringraziare Dio, mentre celebriamo la guarigione del dottor Kent Brantly dall'ebola e le sue dimissioni dall'ospedale.

Di “miracolo” parla lo stesso Brantly nella conferenza stampa immediatamente precedente alla sua dimissione dall’istituto di cura, visibilmente provato e dimagrito. Certo, l’immagine del medico eroe, che piace tanto alla letteratura e alla cinematografia, si rafforza inevitabilmente. Forse sta anche questo alla base del suo fortissimo appeal mediatico: trentatré anni, folta barba rossiccia che ricorda qualche chirurgo tutto d’un pezzo uscito da un medical drama di prima serata… per il Samaritan’s Purse e per tutta la vicenda sviluppatasi attorno nell’ultimo mese è diventato inevitabilmente un’icona. Molto più riservata invece la Writebol, che è stata dimessa ancora martedì scorso per proseguire la convalescenza in una località segreta, lontano da occhi indiscreti. E da microfoni indiscreti, oserei dire.

Tutto sommato Brantly è anche un’icona di speranza nei confronti dell’epidemia di Ebola, che ormai sta viaggiando verso le duemila vittime e un numero pressoché doppio di contagiati. Un tasso di mortalità del cinquanta percento, stando a quelli che sono i dati ufficiali raccolti dall’OMS. E proprio in queste ore, il Sudafrica chiude le proprie frontiere ai viaggiatori provenienti dalle aree colpite, mentre in Congo vengono segnalati settanta morti per una febbre emorragica di origine “non definita”.

Non è dato sapersi se dietro la guarigione dei due operatori umanitari ci sia ZMapp, il “siero miracoloso” di cui abbiamo già parlato in queste pagine. Quantomeno, non sappiamo se ci sia solo ZMapp o se invece il protocollo di cura abbia attinto ad altri farmaci, più o meno approvati, più o meno sperimentali. Lo afferma lo stesso Bruce Ribner, direttore dell’unità malattie infettive dell’Emory University Hospital (sempre su Repubblica.it):

"Non abbiamo idea se il composto sperimentale usato sui pazienti abbia funzionato per la loro guarigione" - ha precisato Ribner, sottolineando di "non poter divulgare informazioni coperte dalla privacy" sulle cure a cui i due pazienti sono stati sottoposti.

ZMapp è stato infatti utilizzato, come è stato chiarito immediatamente dall’azienda produttrice, la Mapp Biopharmaceutical, in deroga al protocollo di sperimentazione sugli esseri umani della FDA: tale deroga prevede che le scelte terapeutiche su esseri umani di un composto sperimentale spettino, in questo specifico caso, all’équipe medica responsabile delle cure del paziente.

Il tempo ci dirà se ZMapp è effettivamente il farmaco che ha consentito questa vittoria sul virus Ebola. Più che altro perché potrebbero apririsi degli scenari inattesi e dorati per le due aziende coinvolte, Mapp e Defyrus, che sicuramente cureranno i loro interessi nel garantire un esito positivo dei necessari passaggi dei test clinici del farmaco. H&P Labs , come già evidenziato nel post precedente, ha tutte le armi per poter operare efficacemente in tal senso, aprendo le porte della grande industria farmaceutica al “siero miracoloso”. E ai relativi, lauti, guadagni.

Ho sempre ammirato le persone ricche di fede: chi crede veramente, ha la possibilità di potere attingere a una riserva di speranza che si accresce in maniera direttamente proporzionale al rafforzarsi della convinzione medesima. Sono sicuro che questo meccanismo (umanissimo) sia anche alla base dei pensieri e delle parole dei protagonisti di questa vicenda; a maggior ragione se non è in discussione la grande fede che anima queste persone, che operano per una ONG di matrice cristiana dal passato piuttosto controverso (costituitasi e radicata in un Texas profondamente conservatore).

Al di là di questo, io credo che in questa storia non ci siano davvero né favole né miracoli in cui credere. Ci sono da un lato gli interessi di un paio di scaltre aziende semigovernative e paramilitari che hanno portato avanti una propria ricerca con scopi precisi, circostanziati. E dall’altro c’è un protocollo scientifico, documentato e documentabile, per mezzo del quale si è arrivati ad una cura probabilmente efficace a un virus che causa una febbre emorragica.

I due fattori hanno collimato nella guarigione dei due americani, colpendo l’immaginazione e il cuore dell’opinione pubblica statunitense, sospesa da sempre tra il positivismo progressista di una “gaia scienza” in cui tutto diventa possibile e il conservatorismo integralista della propria fede in Dio e della propria “provincialità” religiosa. La loro capacità di sintesi sta tutta qui: “In God We Trust”. E lo incidono addirittura su quello che di più umano e secolare esista: il denaro.

In una Nazione fortemente condizionata dallo scontro razziale (come accade nelle ultime settimane), dall’eterna corsa alla ricchezza, dalle contraddizioni sociali, dalla sindrome costante di chi il mondo lo deve in qualche modo “controllare” per garantirgli libertà e sicurezza, questa storia è forse un esempio di come l’America continui ad alimentare il mito di sé, del proprio sogno e delle proprie opportunità. Anche di fronte ad un nemico infinitamente piccolo, strisciante, infido e ineffabile come lo è un virus: una sorta di mitologia della nemesi a cui contrapporre i propri martiri. Ma soprattutto i propri eroi.

Nessun commento:

Posta un commento