3.9.14

Il sorriso di Kim Jong-un

Nei giorni scorsi, parecchie testate online hanno messo in rete un ampio servizio fotografico che ritrae l’estate “impegnatissima” di Kim Jong-un, il paffuto leader della Corea del Nord. In realtà, dietro questi “servizi” c’è tutta la macchina propagandistica del regime, che si avvale dei servigi della KCNA, l’Agenzia di stampa ufficiale nordcoreana per veicolare all’estero l’immagine del Paese e del suo establishment. Un’immagine declinata di volta in volta in base alle necessità relative alla politica interna ed estera del regime: ricordiamo tutti i giorni successivi alla morte di Kim Jong-il (padre dell’attuale dominus), in cui il “cordoglio” fortemente scenografico di un’intera nazione è stato fatto rimbalzare attraverso i satelliti e i siti di tutto il mondo spesso con esiti al limite del comico.

Al netto dei consueti test missilistici e delle costanti recriminazioni nei confronti dell’imperialismo occidentale, recentemente la Corea del Nord sta cercando di diffondere un’immagine di sé particolarmente “rassicurante”. Morsa da una cronica difficoltà economica, inasprita dall’embargo del “Mondo Libero”, è alla ricerca costante di un minimo riconoscimento che addolcisca l’atteggiamento delle potenze mondiali. Dopo le epurazioni famigliari nel proprio entourage, la direzione intrapresa da Kim Jong-un (del quale persino la data di nascita rimane avvolta nel mistero) sembra essere quella di una sorta di distensione, ostentando una serenità e un ottimismo che ha latitato sin dal suo avvento al potere.

L’espressione corrucciata, le guance paffute, il taglio di capelli rigido e un outfit paramilitare, hanno finora dato agli osservatori occidentali una sensazione di rigida sobrietà; ne ha guadagnato l’eco di una ferocia istituzionalizzata (avrebbe fatto squartare uno zio non “allineato” da una muta di cani affamati), che ha lasciato sempre poco spazio ad ammorbidimenti o significativi cambi di rotta. Nemmeno la presenza di un personaggio come il cestista americano (!!!) Denis Rodman ha stemperato un’aura di altero contegno, reso ancor più enigmatico dall’inespressività degli occhi nelle foto ufficiali.

In questa calda estate coreana, Kim Jong-un ha scelto invece di mostrarsi disteso, sorridente, attivo, pieno di energia e iniziativa. Seguito costantemente dai propri “generali”, che pare consumino decine di bloc notes per non perdersi neanche una virgola delle disposizioni del Maresciallo della Corea del Nord (supremo grado della scala gerarchica militare), Kim Jong-un è stato visto sorridente e divertito in una fabbrica di biscotti, in un cantiere edile, in un’industria alimentare. Anche, incredibilmente, con una sigaretta accesa tra le dita. La grigia e rigida divisa con il colletto alla “coreana” (potrebbe essere altrimenti) ha lasciato posto ad ampi panatloni e ad una comoda camicia a maniche corte bianca. Scelte che avvicinano Kim Jong-un alla gente comune molto di più di quanto non avessero mai fatto il padre e il nonno.

Ma proprio il padre, Kim Jong-il, e il nonno, Kim Il-sung, nell’iconografia ufficiale sono rappresentati da sempre con un sorriso smagliante: prova rassicurante e sempre valida che lo Stato totalitario al di spora del 38° parallelo è sempre e comunque il migliore dei mondi possibili. Il Caro Leader (Kim Jong-il) e il Grande Leader (Kim Il-sung) sono due padri della patria nordcoreana che ammiccano dall’alto delle enormi riproduzioni di regime sul popolo coreano, con lo sguardo rivolto ad un orizzonte futuro che sembra non conoscere confini e ostacoli. E’ il sorriso di chi guarda in faccia la Storia e sembra carpirne il segreto, la celebrazione costante di un’epifania che ha del miracoloso: ivi inclusa la leggenda secondo cui Kim Jong-il sia nato sulle pendici del monte Paektu, il giorno in cui comparvero in cielo due arcobaleni e una stella brillante…

E’ probabile che l’iconografia grigia e austera del Grande Successore sia stata funzionale, quantomeno nel periodo iniziale del proprio governo sul Paese, per acuire e diffondere la sensazione che si dava corso esattamente a quello che ci si sarebbe aspettato da un leader della sua caratura: sistemare le resistenze interne, reprimendo spinte disgregative del potere, perso nei mille rivoli di una società fortemente stratificata e in cui il potere stesso è appannaggio di una ristretta cerchia di dignitari. Non sapremo mai quanto questa resistenza (se mai ce ne sia stata una) fosse strutturata, forte, organizzata; ci è stato lasciato intendere che le azioni nei confronti dei “dissidenti” sono state eseguite con il piglio autoritario che la tradizione del potere nordcoreana ha tramandato ormai da tre generazioni.

Ora il sorriso del Maresciallo Kim Jong-un può essere letto come la fine di una stagione politica interna, in cui è stata effettuata quella “pulizia” necessaria ad ogni apparato di regime per potere sussistere, magari alimentata da una certa dose di paranoia? E il ritrovato sorriso su un faccione quasi bonario, paffuto, ma capace anche di esprimere tutta l’autorevolezza e l’autorità di un leader che si sporca le mani, che ha le mani in pasta (di biscotti), che sa leggere il progetto di un grande complesso edile, è il segnale interno, ma soprattutto esterno, che la Corea del Nord si sta aprendo ad una nuova stagione in cui la parola d’ordine potrebbe essere “distensione”? Distensione chiaramente funzionale ad attrarre quelle simpatie all’estero necessarie ad allentare la morsa del blocco alle importazioni, che fa della Corea del Nord, per certi versi, il Paese più autarchico del pianeta.

Ma non è stato così forse anche per il sorriso del Grande Leader, presidente eterno della Repubblica Popolare Coreana, o per quello del Caro Leader al cui funerale milioni di persone in tutta la nazione si sono strappate vesti e capelli (letteralmente)?

Nientemeno quello stesso sorriso ineffabile, che ha guidato un popolo verso umiliazioni, carestia, incastonato nel cemento e nel silenzio senza tempo, atopico, utopico e indecifrabile, di Pyongyang.

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