4.9.14

Si Salvini chi può: Razzi sulla Corea del Nord

Chissà se Matteo Salvini e Antonio Razzi hanno dato un’occhiata all’atlante - non pretendo Google Maps - per vedere dove si trovi la Corea del Nord. Massì, sopra la Corea del Sud. Più o meno. Perché se all’approssimazione in geografia, di cui cronicamente soffriamo noi italiani medi (così bene rappresentati da questi due campioni politici), alla Storia non si può perdonare ignoranza. Eppure le dichiarazioni entusiastiche durante e dopo questa simpatica gita aziendale nel più illuminato paradiso comunista (ancora esistente) evidenziano una preoccupante smemoratezza; una leggerezza di giudizio che lascia lievemente perplessi e straniti, a chiederci se effettivamente sia tutto vero quello che ci hanno sempre raccontato. O se l’efferatezza del regime di Pyongyang non sia altro che una precipitosa condanna viziata dal pregiudizio:

Siamo stati onorati e riferiti . Mai avuto un'accoglienza simile. E poi qua fanno miracoli a tutta la gente.

Razzi, capitano dell’Associazione parlamentare dell’amicia Italo-Coreana, ha asserito di essere tornato in Corea del Nord perché in Corea del Nord vale la pensa di andarci per vedere quanto di buono il suo grande “amico” Kim Jong-un (il “Maresciallo”, lo chiama) sta facendo per il suo popolo. Sulla scia dell’esempio di padre e nonno, padroni di una nazione perennemente sull’orlo della catastrofe alimentare, economica e bellica. Ecco, sarebbe bello essere nella testa di Razzi per capire effettivamente quale sia il “miracolo” di un regime che nei confronti del popolo che governa pratica da sempre una repressione e una limitazione delle libertà fondamentali tipica di quei totalitarismi che in Europa abbiamo definitivamente cassato con una guerra mondiale. L’ultima, per inciso. Tra l’altro, sarebbe bello capire se questa missione “parlamentare” sia stata spesata con denaro pubblico… ma questa, magari, è un’altra storia.

L’intervista di Salvini al Corriere non chiarisce molto le idee. Certo, Salvini le ha chiarissime:

Ho visto un senso di comunità splendido. Tantissimi bambini che giocano in strada e non con la playstation, un grande rispetto per gli anziani, cose che ormai in Italia non ci sono più.

Certo, dimmi dove giocano i bambini e ti dirò che Paese sei: abbasso il concetto materialista e consumista di “playstation”. Magari sono cose che non ci sono più perché energia elettrica e piccole “comodità” dell’era moderna non sono un lusso razionato o appannaggio esclusivo della classe dirigente. Evidentemente in Padania e in Italia ci sono altri valori.

Ma se non è quindi questo luogo tetro di terrore impenetrabile, Salvini, che cos’è la Corea del Nord?

Un altro modello che io non demonizzo: non indico come un inferno un sistema che non conosco. Lì lo Stato dà tutto: scuola, casa, lavoro. Insomma, al mondo non c’è solo lo stile di vita americano.

Che sia l’alba di una sorta di dittatura del proletariato padano? Un socialismo del Nord pronto a riscattare le masse oppresse dagli eterni nemici della terra padana? Dipende sempre da che parte, in un sistema del genere, si sta…

Salvini è rimasto così colpito dalla Corea del Nord. Forse per il concetto intrinseco, pregnante, del Nord stesso. Sembra una sorta di proprietà transitiva topologica: Nord è buono, Nord è giusto. Del resto, l’idea leghista di un confine naturale sul fiume Po trova la sua sublimazione storica nel trentottesimo parallelo, che separa le due Coree da quando venne firmato l’armistizio sessant’anni fa. Un unico popolo che parla la stessa lingua, condivide millenni di cultura, scrive nello stesso modo ma guarda al proprio futuro in maniera diversa. Sembrerebbe quasi un modello esportabile, facilmente applicabile. Con la giusta dose di “polso”, magari, capace di tenere per sempre distanti le nemesi dalla pacifica e serena terra padana.

Ma forse sarebbe anche opportuno che Salvini ammettesse, senza scivolare in un atteggiamento pericolosamente “naive”, che della Corea del Nord ha visto esattamente quello che il regime di Pyongyang voleva che vedesse: una sospensione dal tempo e dal giudizio della Storia, una sorta di grande cartolina illustrata vivente, in cui tutto si muove alla perfezione come in un grande fondale di teatro. Culminato nell’esposizione finale del grande orgoglio nazionale nordcoreano, uno che la sua battaglia l’ha combattuta davvero contro un pezzettino di Occidente. Vincendo:

Gli ho fatto conoscere anche Pak Doo-Ik. Quello che ci ha fottuto nel 1966. Ha pure fatto l'imitazione di quel gol. Le mando le immagini della tv abruzzese?

No, grazie onorevole Razzi. Ne abbiamo viste e sentite già abbastanza.

(le citazioni dalle interviste agli onorevoli Antonio Razzi e Matteo Salvini sono tratte rispettivamente da repubblica.it da corriere.it)

3.9.14

Il sorriso di Kim Jong-un

Nei giorni scorsi, parecchie testate online hanno messo in rete un ampio servizio fotografico che ritrae l’estate “impegnatissima” di Kim Jong-un, il paffuto leader della Corea del Nord. In realtà, dietro questi “servizi” c’è tutta la macchina propagandistica del regime, che si avvale dei servigi della KCNA, l’Agenzia di stampa ufficiale nordcoreana per veicolare all’estero l’immagine del Paese e del suo establishment. Un’immagine declinata di volta in volta in base alle necessità relative alla politica interna ed estera del regime: ricordiamo tutti i giorni successivi alla morte di Kim Jong-il (padre dell’attuale dominus), in cui il “cordoglio” fortemente scenografico di un’intera nazione è stato fatto rimbalzare attraverso i satelliti e i siti di tutto il mondo spesso con esiti al limite del comico.

Al netto dei consueti test missilistici e delle costanti recriminazioni nei confronti dell’imperialismo occidentale, recentemente la Corea del Nord sta cercando di diffondere un’immagine di sé particolarmente “rassicurante”. Morsa da una cronica difficoltà economica, inasprita dall’embargo del “Mondo Libero”, è alla ricerca costante di un minimo riconoscimento che addolcisca l’atteggiamento delle potenze mondiali. Dopo le epurazioni famigliari nel proprio entourage, la direzione intrapresa da Kim Jong-un (del quale persino la data di nascita rimane avvolta nel mistero) sembra essere quella di una sorta di distensione, ostentando una serenità e un ottimismo che ha latitato sin dal suo avvento al potere.

L’espressione corrucciata, le guance paffute, il taglio di capelli rigido e un outfit paramilitare, hanno finora dato agli osservatori occidentali una sensazione di rigida sobrietà; ne ha guadagnato l’eco di una ferocia istituzionalizzata (avrebbe fatto squartare uno zio non “allineato” da una muta di cani affamati), che ha lasciato sempre poco spazio ad ammorbidimenti o significativi cambi di rotta. Nemmeno la presenza di un personaggio come il cestista americano (!!!) Denis Rodman ha stemperato un’aura di altero contegno, reso ancor più enigmatico dall’inespressività degli occhi nelle foto ufficiali.

In questa calda estate coreana, Kim Jong-un ha scelto invece di mostrarsi disteso, sorridente, attivo, pieno di energia e iniziativa. Seguito costantemente dai propri “generali”, che pare consumino decine di bloc notes per non perdersi neanche una virgola delle disposizioni del Maresciallo della Corea del Nord (supremo grado della scala gerarchica militare), Kim Jong-un è stato visto sorridente e divertito in una fabbrica di biscotti, in un cantiere edile, in un’industria alimentare. Anche, incredibilmente, con una sigaretta accesa tra le dita. La grigia e rigida divisa con il colletto alla “coreana” (potrebbe essere altrimenti) ha lasciato posto ad ampi panatloni e ad una comoda camicia a maniche corte bianca. Scelte che avvicinano Kim Jong-un alla gente comune molto di più di quanto non avessero mai fatto il padre e il nonno.

Ma proprio il padre, Kim Jong-il, e il nonno, Kim Il-sung, nell’iconografia ufficiale sono rappresentati da sempre con un sorriso smagliante: prova rassicurante e sempre valida che lo Stato totalitario al di spora del 38° parallelo è sempre e comunque il migliore dei mondi possibili. Il Caro Leader (Kim Jong-il) e il Grande Leader (Kim Il-sung) sono due padri della patria nordcoreana che ammiccano dall’alto delle enormi riproduzioni di regime sul popolo coreano, con lo sguardo rivolto ad un orizzonte futuro che sembra non conoscere confini e ostacoli. E’ il sorriso di chi guarda in faccia la Storia e sembra carpirne il segreto, la celebrazione costante di un’epifania che ha del miracoloso: ivi inclusa la leggenda secondo cui Kim Jong-il sia nato sulle pendici del monte Paektu, il giorno in cui comparvero in cielo due arcobaleni e una stella brillante…

E’ probabile che l’iconografia grigia e austera del Grande Successore sia stata funzionale, quantomeno nel periodo iniziale del proprio governo sul Paese, per acuire e diffondere la sensazione che si dava corso esattamente a quello che ci si sarebbe aspettato da un leader della sua caratura: sistemare le resistenze interne, reprimendo spinte disgregative del potere, perso nei mille rivoli di una società fortemente stratificata e in cui il potere stesso è appannaggio di una ristretta cerchia di dignitari. Non sapremo mai quanto questa resistenza (se mai ce ne sia stata una) fosse strutturata, forte, organizzata; ci è stato lasciato intendere che le azioni nei confronti dei “dissidenti” sono state eseguite con il piglio autoritario che la tradizione del potere nordcoreana ha tramandato ormai da tre generazioni.

Ora il sorriso del Maresciallo Kim Jong-un può essere letto come la fine di una stagione politica interna, in cui è stata effettuata quella “pulizia” necessaria ad ogni apparato di regime per potere sussistere, magari alimentata da una certa dose di paranoia? E il ritrovato sorriso su un faccione quasi bonario, paffuto, ma capace anche di esprimere tutta l’autorevolezza e l’autorità di un leader che si sporca le mani, che ha le mani in pasta (di biscotti), che sa leggere il progetto di un grande complesso edile, è il segnale interno, ma soprattutto esterno, che la Corea del Nord si sta aprendo ad una nuova stagione in cui la parola d’ordine potrebbe essere “distensione”? Distensione chiaramente funzionale ad attrarre quelle simpatie all’estero necessarie ad allentare la morsa del blocco alle importazioni, che fa della Corea del Nord, per certi versi, il Paese più autarchico del pianeta.

Ma non è stato così forse anche per il sorriso del Grande Leader, presidente eterno della Repubblica Popolare Coreana, o per quello del Caro Leader al cui funerale milioni di persone in tutta la nazione si sono strappate vesti e capelli (letteralmente)?

Nientemeno quello stesso sorriso ineffabile, che ha guidato un popolo verso umiliazioni, carestia, incastonato nel cemento e nel silenzio senza tempo, atopico, utopico e indecifrabile, di Pyongyang.